come anticipato, entro mercoledì il mio libro fantasy verrà lanciato ufficialmente. In attesa di ciò, vi mostro in anteprima il primo capitolo.
Come ogni mattino,
l’anziano bibliotecario di New Olyum si svegliò presto, abbandonando il tepore
del letto per vestirsi nella fredda e umida aria mattutina. Era sua
consuetudine alzarsi di buon ora e dirigersi quietamente nei sotterranei del
palazzo della biblioteca, vicino alle antiche fondamenta della vecchia
biblioteca, per il solito giro di controllo. Lì erano custoditi, sotto strati
di polvere, dei tomi e delle pergamene preziose e solo poche persone avevano
il permesso di accedervi, oltre alla famiglia reale.
Come tutti i giorni,
regnava un silenzio irreale nella costruzione, finché l’anziano non udì un
rumore sospetto.
«Chi sei? Cosa credi di
fare qui?» gridò forte, con l’eco della sua voce che si espandeva in ogni
direzione.
Non avendo ricevuto alcuna
risposta rimase in silenzio.
Nel frattempo, circondata
da scaffali ripieni di alcuni ninnoli, tre o quattro libri e alcuni rari
fiaschi di vino elfico, quella voce invisibile sembrò a Tala un’entità
spirituale senza un’apparenza di visibilità. La fanciulla fece qualche passo in
avanti e con la poca luce che emanava la candela scrutò attraverso gli scaffali
senza però riuscire a distinguere colui che l’aveva sorpresa in quel luogo
segreto e proibito.
«Ti sei sciolta dalla
paura? Guarda che ti vedo…» le disse l’anziano.
Tala rimase in silenzio per
qualche istante, era spaventata e indecisa: non sapeva se scappare o
rispondere.
«Sono qui! Non ti vedo,
dove sei…»
«Sono nello scaffale
accanto al tuo…»
«Ma chi sei? Perché mi hai
spaventato in questo modo?»
Poco dopo, il bibliotecario
sbucò dal buio con una candela più grande. Era un uomo di bassa statura, molto
esile e dall’aria appassita. Sul volto erano visibili i segni del tempo, molte
rughe e una lunga barba grigia quasi sfiorava il pavimento.
«Ragazzina, non hai il
permesso di venire qui!» disse puntandole contro un dito tutto piegato
dall’artrosi, «Ma lo sai che hai dei bellissimi occhi verdi? Mi ricordi un
amico…» continuò, avvicinando la candela al suo viso.
«Da lontano, nella sala
principale, ho visto una piccola porta e sono entrata. Voglio conoscere le
antiche leggende di Bracbah.» ribatté Tala.
La paura le era quasi
passata; cominciava ad essere impaziente, voleva leggere quelle storie a tutti
i costi.
Il silenzio calò
improvvisamente per alcuni lunghissimi istanti, poi il bibliotecario disse:
«Allora, ragazzina sapientona, come ti chiami?»
«Mi chiamo Tala. Dove sono
i libri segreti?»
«Vai così di fretta? Grazie
per aver chiesto il mio nome!» disse contrariato, poi s’incamminò verso
un’altra stanza.
“Che impertinenza, più
ci penso e più mi ricorda qualcuno” rifletté tra sé e sé.
«Ora dove vai?»
«Alla tua domanda
rispondere non è facile come vorresti. Forse il modo migliore è rivolgerti a
mia volta alcune domande. Conosci le leggende dei prescelti?»
Una pausa.
«Conosci il ritorno dei
demoni?»
Udendo quelle parole Tala
s’irrigidì. Quelle parole erano sinonimo di tutte le cose orribili della vita,
reali e immaginarie, erano usate per spaventare i bambini e suscitavano
immagini di spettri e troll, fantasmi e morte. Tala lo guardò e annuì
lentamente. L’anziano si concesse una pausa prima di proseguire.
«Mi chiamo Ahsdì e come sai
sono il bibliotecario. E forse sono quel-lo che più ha viaggiato, poiché
nessuno della mia famiglia si è spinto oltre le Terre ferme di Bracbah.» poi
di scatto si fermò e si voltò indietro, «Ragazzina, ancora lì? Vuoi sfamare la
tua sete di sapere oppure vuoi restare al buio?» disse Ahsdì, mentre le tendeva
la mano invitandola a seguirlo, «Dai, seguimi, ma devi promettere che ciò che
vedrai e sentirai non uscirà mai da questo luogo. D’accordo?»
Lei annuì e gli corse
dietro: «D’accordo.»
Ahsdì precedeva di qualche
passo Tala; proseguirono nel buio lungo il corridoio, finché non arrivarono in
fondo ed entrarono in uno stanzino. Il bibliotecario si accostò a una parete,
toccò dei meccanismi nascosti, si sentirono scattare delle molle. Dopo qualche
istante la parete iniziò a spostarsi: si allontanava da loro e mostrava sulla
destra una piccola porta che dava in un altro ambiente. Un momento dopo, Ahsdì
accese altre candele che illuminarono sufficientemente quella piccola stanza.
Sembrava molto antica. L’aria sapeva di chiuso e di muffa, ma era respirabile,
il pavimento era composto da travi di legno, ammuffite dal tempo, che
scricchiolavano ad ogni loro passo, ma le pareti e il soffitto erano in pietra
dura, liscia e non lavorata. C’erano polvere e ragnatele ovunque.
Tala subito si sedette
comodamente su una sedia vicino ad un vecchio tavolo di legno, anch’esso
ammuffito, mentre l’anziano bibliotecario scomparve per qualche istante nella
zona buia della stanza. Si udì un leggero stridere di chiavi, poi ricomparve
con uno strano libro. Era molto grosso e consumato, la rilegatura era fatta a
mano con corde di cuoio.
«Ecco il libro!» disse
appoggiandolo delicatamente sul tavolo, «Ogni istante ed ogni particolare delle
leggende di Bracbah che tu vorrai sapere sono in questo libro. Sono i miei
appunti.»
«Come fai a sapere ogni
particolare delle leggende, se tu non c’eri?»
«Chi ti dice che io non
c’ero!? Ora ascolta, ti leggerò la mia leggenda preferita.»
Si sedette accanto alla
ragazza e sistemò al meglio le candele così da riuscire a leggere.
«Cominciamo.» disse Ahsdì
schiarendosi la voce e attirando l’attenzione della ragazza, prima di iniziare
a leggere, «La leggenda che sto per raccontarti prende avvio da una storia
molto lontana nel tempo, quando gli spiriti di Bracbah decisero che era giunto
il momento di far nascere un nuovo prescelto. Erano passati circa mille anni
dalla grande fuga degli umani dall’isola di Rohat verso le terre ferme; tempo
in cui l’ultimo prescelto decise di sacrificare la sua vita per il bene di
tutti gli esseri viventi. Le Terre ferme di Bracbah erano caratterizzate dalla
presenza di tre razze: gli elfi, i giganti e i nani; ogni villaggio aveva le
proprie caratteristiche ed erano in armonia tra loro, non avevano confini, non
avevano rivalità o sentimenti d’odio, non avevano sete di potere e non usavano
mai la magia…»
«Ehm… il prescelto?»
domandò improvvisamente.
Ahsdì la guardò e chinò il
capo. La sua voce si spense e rimase in silenzio per qualche istante fissando
il suo libro.
«Con calma, dammi il
tempo…» le disse con una smorfia d’irritazione.
Tala scosse la testa e
sbuffò: «Conosco già la storia delle vecchie terre. Non puoi andare più
avanti?»
Ahsdì le lanciò un’altra
occhiataccia che lasciava intendere come interruzioni e commenti non fossero
graditi.
«Bracbah ha una sorta di
maledizione: ogni mille anni c’è sempre il rischio di una catastrofe che possa
portare il pianeta a distruggersi. L’equilibrio tra bene e male si era rotto:
il male reclamava e pretendeva la sua parte, tuttavia gli spiriti si erano già
preparati scegliendo il proprio guerriero per riportare l’equilibrio. Alcuni lo
chiamavano l’eletto, altri il prescelto. Era un umano dalle caratteristiche
uniche: aveva le orecchie leggermente a punta e gli occhi verdi lucenti, che
riflettevano la sua bontà e il fuoco della vita.»
«Ottimo, è la leggenda che
volevo ascoltare!»
«Tala… shhh, ma come sei
impaziente… hai da fare?»
«Ops… perdonami.» rispose
la ragazza, portandosi le mani sulle labbra come segno che sarebbe rimasta in
silenzio.
«L’ultimo giorno in cui ho
visto il prescelto è stato quando venne da me per trovare una risposta al suo
futuro e in cambio mi diede delle mappe di alcuni villaggi dove avrei potuto
trovare qualcosa di unico da mettere nei miei scaffali.»
«Aspetta… aspetta… hai
detto che l’hai conosciuto? Ma come hai fatto! E poi tu sei vecchio!» disse
Tala, strattonando il braccio ad Ahsdì.
«Grazie per il vecchietto.
Sempre molto gentile.» ironizzò il bibliotecario, «Non sempre quello che vedi
è la realtà. Ricorda, a volte l’apparenza inganna. E anche le maledizioni…»
disse con un lungo so-spiro, «Ora posso continuare a leggere?!»
Tala fece cenno di sì con
la testa, e Ahsdì dopo un colpetto di tosse riprese il suo racconto.
«Tutto ebbe inizio per qualche strano caso, una mattina…»
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